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Diverso = cattivo? Ma... diverso da chi?


Vi siete mai sentiti invisibili ad una festa piena di persone felici e perfette?
Sistematicamente lasciati in disparte in occasione di cene con lunghe tavolate?
Avete mai la sensazione di essere su una scala che dovrebbe portarvi al vostro obiettivo ed invece, ogni volta, qualcosa vi spinge giù per i gradini costringendovi a ripartire da capo?
E di essere la voce fuori dal coro in un gruppo di persone che professano la democrazia e che invece vi additano come guastafeste?

Io credo che, almeno una volta nella vita, a tutti sia capitato, a chi più a chi meno.
E come ci si deve sentire in questi casi: diversi? strani? insoliti? difformi?
E ammesso che ci si senta tali, chi ha detto che il tutto debba assumere per forza un'accezione negativa? Mi spiego.
La società in cui viviamo e l'epoca in cui viviamo, ci hanno (ahimè) plasmato in modo tale da farci credere che chi sia "diverso" da noi, sia fondamentalmente "sbagliato", fuori posto diciamo.
Per questo motivo, se non si è come i più, come l'elite, si è da emarginare, da tenere a distanza.
Da qui l'accezione negativa di "diverso" che fa pensare a qualcosa di diabolicamente cattivo, non conforme o addirittura pericoloso.

Io invece credo che ogni cosa, proprio perchè diversa e per questo a noi ignota, vada in primis studiata, capita, elaborata. Dio (o chi per lui) ci ha dotato di un intelletto (almeno la maggior parte di noi, mi piace pensare) e quindi mi chiedo perchè... perchè fermarsi alla superficie delle cose, quando sarebbe tanto più bello, più costruttivo e, in definitiva, più interessante, sapere chi/cosa c'è di fronte a noi?

E quindi, per tornare alle nostre sensazioni iniziali... siamo ad una festa di persone che non ci cagano e ci sentiamo invisibili. Siamo noi i diversi o gli altri...? Ma soprattutto: cosa diavolo ci facciamo ad una festa in cui sembra di non avere nulla a che spartire con il 99% degli invitati? Risposta: alzo i tacchi e me ne vado? No! Mi sveglio e provo a socializzare, se gli altri sono così diversi da me, in cosa lo sono SE lo sono, o sono io l'asociale? e se è così, perchè è così? Non posso sentirmi incompresa se sono la prima a non fare il primo passo. Ergo: se gli altri mi dribblano è perchè sono io l'asociale forse? 

Perchè alle cene con lunghe tavolate finiamo sempre nell'angolo sfigato dove alla fine della fiera trascorriamo la serata in silenzio?? Ma siamo o non siamo noi inconsciamente a metterci in disparte proprio per non metterci in evidenza... ergo: se uno non parla mai, perchè dovrei sedermi accanto a lui? quindi il cambamento deve partire da me, prima di pensare che gli altri siano diversi e cattivi.

La vetta della scala è irraggiungibile perchè qualche forza arcana gode nel buttarci giù ogni volta che stiamo per raggiungerla? Ma siamo assolutamente certi che la scala sia davvero il percorso migliore per arrivare al nostro obiettivo? O meglio, che sia il percorso più opportuno? Oppure siamo noi, autoflagellatori di noi stessi che godiamo nel rimanere sconfitti e sguazzare nel vittimismo?
Perchè non aggiriamo l'ostacolo, troviamo strade alternative o... prendiamo l'ascensore?

E infine, perchè le persone mi chiamano guastafeste per il solo fatto di non pensarla come loro?
Sono persone malvagie e crudeli? Hanno la cattiveria insita nel loro DNA?
Oppure quando ho esposto il mio parere contrario al loro l'ho fatto con prepotenza ed arroganza? Sono stata io la "cattiva" nell'esporre il mio punto di vista, facendolo passare come l'unico e possibile.


Beh, cari amici: le diversità esistono eccome. Ma credo che a volte non siano gli altri ad essere diversi da noi, ma che siamo noi ad essere diversi da loro. Sembra un gioco di parole ma se ci pensate è così. Io credo nel fatto che essere tutti uguali e fatti in serie non sia una risorsa. E che essere diversi sia una fonte di ispirazione. L'importante è capire che l'essere "diversi" non sia una cosa negativa e che come tale non deve essere vissuta. Inoltre il cambiamento, se vogliamo, può e deve partire da noi. E non per essere accettati o per uniformarci alla massa. Ma semplicemente per proclamare che la nostra diversità è parte di noi e che abbiamo il diritto di viverla senza essere giudicati.

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