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 Solita(ria) vita - 3° Episodio


Il piccolo motel somigliava alla vecchia casa di campagna di sua nonna, quella in cui aveva trascorso momenti felici nelle lunghe e spensierate estati della sua infanzia. Un tempo che ora le sembrava così lontano. Ma ci somigliava davvero? O era la sua memoria che le giocava uno scherzo? O forse l'oscurità che pian piano era scesa e aveva avvolto il paesaggio le dava la sensazione di trovarsi in un luogo familiare... ed invece che sentirsi intimidita da quel posto sconosciuto, non vedeva l'ora di avventurarcisi e anche di riposare. Guidare per ore, piangendo, l'aveva decisamente spossata. Ora voleva solo staccare la spina.

Parcheggiò l'auto nei pressi del motel e si diresse verso la reception, un bancone rustico e spoglio, dove non c'era nessuno ad attenderla. Stanca e per nulla spazientita, suonò il campanellino sul banco per attirare l'attenzione. 

Fu allora che un uomo alto, vestito di scuro e coi lineamenti di un maggiordono di fine '800 fece capolino dalla porta dietro il bancone.

"Mi scusi, non l'avevo sentita entrare". La sua voce calda, educata e accogliente quasi faceva a pugni con la sagoma e la stazza del suo corpo che, ora sempre più vicino, avrebbero intimidito chiunque.

"Vorrei una stanza per stanotte... e se fosse possibile mangiare qualcosa...". La sua voce era lenta, quasi cantilenante. Si percepiva una stanchezza più vicina alla rassegnazione mentale ed emotiva che alla pura e semplice stanchezza fisica.

"Le lascio le chiavi della stanza e, se vuole dirmi cosa desidera per cena, posso farle arrivare qualcosa dalla trattoria qui vicino".

Tutto sembrava così semplice. Un problema, una soluzione. La sua voce pacata e confortante. Il pensiero che tra poco si sarebbe stesa su un letto a riposare. E avrebbe messo qualcosa nello stomaco che oramai reclamava a gran voce di avere soddisfazione.

"Un paio di toast e una bottiglia d'acqua andranno più che bene".

In quel momento il suo cellulare ricominciò a vibrare per la centesima volta.

Era tardi, non aveva detto a nessuno dove si trovava. Sicuramente qualcuno era preoccupato. Anzi, sicuramente anche no. Non si preoccupavano per lei quando la vedevano ogni giorno, perchè avrebbero dovuto farlo ora che aveva scelto di sparire?

Eppure il cellulare non cessava di vibrare. Prese le chiavi della stanza e si diresse con passo veloce verso le scale. Avrebbe risposto, ma prima si sarebbe fatta una doccia.

La camera era semplice e arredata con dettagli così genuini e modesti da sembrare addirittura familiare.

Si buttò sotto la doccia come se l'acqua potesse lavare via tutto ciò che era e sentiva: via i sensi di colpa, via i pensieri, le paure, l'angoscia, via la sottomissione, via la bassa autostima. Via tutto.

Tranquillizzata e rilassata, si avvolse nell'accappatoio e, sedutasi sul letto, iniziò a scorrere chiamate perse e messaggi sul cellulare.

C'erano entrambi. Chiamate e messaggi di suo marito. Chiamate e messaggi di quell'amante a intermittenza che la faceva sentire ora una regina, ora una nullità.

Era quasi indecisa su quali messaggi ascoltare per primi. Come se anche scegliere l'ordine in cui farlo potesse equivalere a dare ad uno più importanza che all'altro.

Alla fine ne scelse uno... la voce era preoccupata. Quasi come non l'aveva ma sentita.

Lui la stava cercando e, dato che aveva attivato la localizzazione GPS del suo cellulare, stava per giungere fin lì.

Vederlo sarebbe servito? I suoi propositi di lasciarsi tutto alle spalle sarebbero crollati? O lui l'avrebbe fatta sentire di nuovo inutile e l'avrebbe nuovamente buttata via l'indomani?

Nel frattempo, sull'onda di questi pensieri e di mille altri che si accavallavano a velocità convulsa, nel silenzio della stanza e nel frastuono della sua mente... qualcuno bussò forte alla porta.

Si alzò di scatto dal letto e si diresse verso la porta.

Arrivederci al prossimo episodio.

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